Passiamo adesso alla fase due del Design thinking: il definire.
Obiettivo di questa seconda fase è quella di definire l’area di intervento sulla quale agire. Questo è possibile a partire dai bisogni rilevati ma anche in base alla definizione di un obiettivo chiaro su dove si voglia incidere nel processo di innovazione o miglioramento. Se la fase di empatia è una fase divergente, in cui si apre lo sguardo ed il perimetro della questione, per comprenderne tutte le sue dimensioni, la fase del definire è una fase convergente in cui si definisce il perimetro di intervento. Dunque, qui ci si domanda quale sia l’area del processo che stiamo rivedendo da migliorare, sempre mantenendo il focus sul nostro “attore” principale.
Non a caso, la parola definire significa in termini etimologici mettere confini, “dichiarare in modo preciso e con vocaboli appropriati la natura di qualcosa”.
Quello che andiamo a definire è l’esperienza della nostra Persona, sezionandola nei momenti più significativi e associando emozioni, difficoltà e soddisfazioni che derivano dalla fase precedente.
Proviamo a immaginare di avere fatto un’analisi dei bisogni per un progetto formativo (che possiamo ben equiparare alla fase di empatizzare). Alla fine dobbiamo rispondere alla domanda: “Cosa non funziona nell’esperienza di fruizione del partecipante ad oggi (se come user abbiamo scelto il partecipante)?” In questo caso le riflessioni che possiamo avere sono sia sui contenuti ma molto sul “come” progetteremo l’intervento. I tempi, il livello di interazioni, il mix tra apprendimento autonomo e in aula sono tutti possibili insight di questa fase.
Se lo user fosse invece il Decision Maker il nostro focus sulla sua experience sarà su quali sono gli elementi che possono essere migliorati o esaltati per far sì che la sua esperienza di co-progettazione e gestione del percorso sia positiva. Qui potremmo avere insight legati, ad esempio, a come rendere evidente il suo contributo, supportare la committenza nella sponsorship del percorso, dettagliare al meglio i risultati raggiunti dal punto di vista di chi ha “acquistato”. Questo, ad esempio, è un passaggio molto importante perché spesso quando facciamo i report di fine corso ci concentriamo molto sui feedback dei partecipanti, sui risultati raggiunti, riducendo la vista sul bisogno del committente che si è fidato di noi e ha bisogno, magari, di un ritorno in immagine, riconoscimento, ecc.
Lo strumento per eccellenza in questa fase è il “Journey”, un canvas che ha molte versioni: puoi trovare molti esempi anche su Web, importante è che ti concentri su questi passaggi essenziali:
- Fasi dell’esperienza del tuo user
- I punti di contatto di questa esperienza con il servizio che fornisci
- Il gradimento o l’insoddisfazione del tuo user rispetto a queste fasi
- E, infine, l’identificazione delle possibili aree di miglioramento.
Una volta quindi definito il perimetro si può passare alla terza fase, quella dell’ideate. Solo adesso si può iniziare a pensare a delle soluzioni. E’ in questa fase e non prima che si iniziano a generare delle idee, a valutarle e a capire se possono essere delle soluzioni plausibili per il “problema” che abbiamo definito e per lo user e il contesto nel quale siamo. Siamo a metà del metodo e dell’applicazione del processo e questo ci fa comprendere come in questo approccio non si faccia un “jump to the solution” come spesso siamo abituati a fare sotto le molteplici pressioni che abbiamo. Potrebbe sembrarvi uno svantaggio e un processo lungo, quello di applicare tutte queste fasi ma l’appropriatezza della soluzione a cui si arriva con il design thinking ha un ritorno importate. Inoltre, attenzione perché andare di fretta non significa necessariamente essere veloci e i costi nel dover poi tornare indietro sui propri passi o proporre soluzioni poco praticabili rappresenta un costo oltre che una perdita di tempo.
E tu? Cosa ne pensi di questa fase?